giovedì 10 maggio 2007

Mistica tirtaica e mistica omerica

Vi trascrivo un brano che spiega le differenze tra la concezione dell’eroismo di Omero e quella di Tirteto.
Un brano che esalta Omero e forse deprime troppo la poesia di Tirteo. Ma si tratta in gran parte sono giudizi condivisibili e acuti.

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Due grandi maestri ebbe la Grecia, Omero ed Esiodo, esaltatore dell’eroismo il primo, della giustizia il secondo. Tirteo s’avvicinava piuttosto a Omero che a Esiodo, almeno nella maggior parte dei frammenti che ci sono pervenuti (ma un accenno alla necessità della giustizia c’è nel frammento di un’elegia, che doveva portare il titolo di Eunomia). Motivo fondamentale delle elegie è infatti questo: siano coraggiosi i giovani, combattano vigorosamente, non fuggano mai: bello è morire in battaglia, miserevole la vita del vile ch’è fuggito e dovrà andarsene in esilio. Tuttavia c’è una diversità profonda tra Omero e Tirteo: ed è diversità di concezione e di poesia.
Omero e Tirteo conoscono del pari gli àristoi, i nobili appartenenti alla classe politica imperante nella città: ma qual mirabile diversità e quale gradazione Omero sapeva scorgere (e quale mirabile molteplicità di motivi, di temi, di contrasti, di toni ne nasceva!) entro la classe politica! come emergevano sugli altri alcuni eroi: Aiace, Odisseo, Diomede, Sarpedone! E quale meraviglioso eroe d’infinita purezza, modello degli eroi, era quell’Ettore che pur era destinato alla sconfitta! E come sullo stesso Ettore s’alzava Achille! E com’era sostanziato di dolore o di malinconia l’eroismo di Ettore e d’Achille, e quale nuova ricchezza di poesia nasceva dalla rappresentazione del dolore magnanimo e della magnanimità dolorosa o melanconica! Tirteo invece quasi non vede che la classe, e ignora il dolore e la malinconia dell’eroe: “O giovani, su, combattete, fermi restando l’uno accanto all’altro”. L’individuo è quasi sommerso nella classe o nella città: non spicca, non s’alza, e se spicca, non ha un suo nome, un suo volto, un dramma suo proprio (e la poesia si fa monocroma, senz’ampio respiro). Poi: davanti a una scelta è posto l’uomo per Tirteo come per Omero. Ma si pensi alle parole di Ettore quando Andromaca lo prega di non scendere in campo, in nome del suo amore e di una serena vita nella casa: “Anch’io – dice Ettore – anch’io patisco come te: ma penso ai Troiani e alle Troiane che mi direbbero vile: e poi, da quando ho imparato a combattere davanti agli altri, l’animo mio stesso non mi permette di star lontano dal campo”. E si ricordinole parole di Sarpedone a Glauco: “Bella è la nostra vita, onorata, raffinata – dice in sostanza l’eroe – ma è breve, non immortale. E che vale il caduco a paragone dell’eterno? Dunque si rinunci alla gioia breve per la gloria eterna”. Dice invece Tirteo: “Miserevole è la vita del fuggiasco: sarà disonorato e mendico; bella è invece la sorte del valoroso: avrà vita gioconda e onorata, e avrà gloria dopo la morte. Dunque si rinunci alla miseria in vita e dopo la morte per avere la gioia in vita e gloria dopo la morte”. Al paragone della scelta magnanima di Sarpedone o d’Ettore o d’Achille, quella di Tirteo è scelta mediocre. Gli è che Tirteo sembra non conoscere gli dèi. La gloria per Omero veniva all’uomo dal dio, quando l’uomo si faceva simile al dio. Per Tirteo invece la gloria all’uomo viene dalla città. Sicchè l’eroe omerico obbedisce a un imperativo divino, il valoroso di Tirteo obbedisce a un comando della città. Per dire tutto in breve: c’è una mistica in Tirteo e c’è una mistica in Omero. Ma la mistica di Tirteo è una mistica politica, è una mistica della città che, mentre esalta, anche invilisce il sacrificio del cittadino, comandato, non spontaneo; la mistica di Omero è mistica religiosa che esalta e santifica senza deprimerlo il sacrificio dell’eroe, ch’è spontaneo e generoso.

A. e G. Maddalena, La letteratura greca, Bari, Laterza, 1960

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