martedì 8 maggio 2007

Il mondo epico e la storia: la realtà riscoperta (2)

In genere non si passa facilmente dalle grandi scoperte degli ultimi decenni alla spiegazione dei poemi e ci si deve accontentare di un vago entusiasmo suscitato davanti alla storia intravista attraverso la favola. Eppure, qualche volta, vi sono dei riscontri puntuali che stabiliscono uno stretto legame e una profonda coincidenza fra l’archeologia e l’opera letteraria. È il caso di vari oggetti e, naturalmente, di oggetti appartenenti a epoche diverse. Questi riscontri sono tanto più straordinari quando si tratta non di oggetti comuni, ma di oggetti pregevoli che Omero si sofferma a descrivere. Certi esempi sono celebri.
È questo il caso dell’elmo che porta Ulisse nel canto X dell’Iliade e che “era fatto di cuoio” e, all’esterno, “da una parte e dall’altra eran fissate bianche zanne di cinghiale, disposte con arte” (261-265): i ritrovamenti micenei ce ne hanno mostrato di simili. Un affresco del palazzo di Nestore a Pilo ce ne mostra un’immagine che risale al 1200 a.C. Un affresco di Acrotiri a Thera-Santorino, del 1480 a.C. circa, ce ne offre un’altra. Insomma, questo elmo di Ulisse, che è l’unico nel suo genere nominato nell’Iliade, è un vestigio molto antico e doveva essere già una rarità molto prima di Omero: ha attraversato i secoli e proprio noi possiamo, d’un tratto, verificare quanto sia valida quella sua descrizione.
La stessa cosa possiamo dire per quanto riguarda il grande scudo di Aiace, “simile a una torre”, fatto di sette strati di pelle di toro, ricoperti da un ottavo strato, in bronzo “Il., VII, 219-223): l’archelogia ce ne offre alcune immagini e, nel caso dell’affresco di Thera, lo mostra associato all’elmo con zanne di cinghiale. Ma i ritrovamenti archeologici ci svelano pure che questo genere di scudo era già quasi completamente scomparso all’epoca della guerra di Troia. E lo stesso capita con la coppa di Nestore, che Omero descrive con cura, come una rarità (Il., XI, 633-635): “Ornata di borchie dorate, con quattro anse, e due colombe d’oro beccavano intorno a ciascuna, da entrambi i lati; poggiata su due piedi”. Gli scavi di Heinrich Schliemann (1822-1890) ne hanno riportato alla luce una che le rassomiglia fortemente, sebbene questa abbia solo due anse. Questa coppa micenea praticamente non ha equivalenti nei ritrovamenti dei secoli posteriori. Quindi sembra proprio che, in tutti questi casi, siamo in presenza di oggetti di cui la tradizione ha conservato il ricordo, a causa della loro originalità o della loro bellezza, oggetti che poi la realtà ci ha infine restituito.

Jacqueline de Romilly, Omero (1998)

Nessun commento: