domenica 27 maggio 2007

Apollonio Rodio, Omero e Virgilio

Dello straordinario successo dell’epos di Apollonio è riprova evidente la ricezione di cui ha goduto il suo poema nella ormai unificata letteratura ellenistico-romana di età cesariana, augestea, flavia. Varrone Atacino, coi suoi Argonautae, rielabora Apollonio e fa opera, a dire di Ovidio, durevolissima (Amores, I, 15, 21-22); Valerio Flacco in età flavia traduce o parafrasa pedissequamente, con gli otto libri di Argonautica, l’omonimo poema apolloniano. Ma è soprattutto Virgilio che ha sentito come decisiva l’influenza di Apollonio e che appunto attraverso il filtro di lui, e in forza di tale precedente, ha osato proporsi l’ambizioso fine di “imitare” Omero.
Il fatto perciò che un critico alquanto eccentrico come l’anonimo autore del trattato Sul sublie – in un contesto in cui vuole riaffermare la sublimità e la supremazia dei “grandissimi” (Pindaro rispetto a Bacchilide, Sofocle rispetto a Ione di Chio) – ponga la domanda “non preferiresti essere Omero anziché Apollonio?” (cap. 33,4), non è che una conferma dell’enorme prestigio conseguito dall’autore delle Argonauti che: dal momento che un paragone tra lui ed Omero appare comunque concepibile, anche se, ovviamente, si risolve a favore di Omero. È ben noto d’altra parte che un critico di prestigio come Quintiliano ha riconosciuto ad Apollonio la qualità altamente positiva della aequalis mediocritas (Inst., X, 1,54): termine che non va inteso come limitativo o spregiativo, bensì nel senso di una collocazione intermedia – sul piano stilistico – tra la ubertas, alla maniera di Pacuvio, e la gracilitas, alla maniera di un Lucilio [è la terminologia che adopera Gellio, Noctes Atticae, VI, 14,6].
[…]
La considerazione fatta prima, secondo cui senza Apollonio sarebbe impensabile Virgilio, sta, più di ogni altro raffronto, a dimostrare il ruolo che la creazione apolloniana ha esercitato sulla nascita di un’epica moderna. Ciò vale per la trama, per la scelta e la trattazione della materia, per l’equilibrio tra novità e tradizione nel campo linguistico: e vale soprattutto per la creazione di figure, quale quella di Medea, che svolgono una parte centrale nell’economia narrativa. È stato spesso osservato che Medea costituisce il precedente poetico di Didone. “Sembra quasi – osservò il Sainte-Beuve commentando l’entrata in scena di Medea – che il poeta, giunto a questo punto, si sia detto che questa passione amorosa [di Medea per Giaone] fosse la sola novità che Omero gli aveva lasciato nell’ambito della composizione epica” (De la Médée d’Apollonius [1845], in Potraits contempornains, V, Paris 1882, p. 365). In questo bel saggio il Sainte-Beuve svolge ampiamente il raffronto, tradizionale, tra le due eroine (Medea, Didone), ma si mostra anche consapevole dell’intreccio di modelli riconoscibili in Virgilio (“si è ispirato – scrive poco prima – nel concepire la sua bella regina, sia all’Arianna di Catullo [carme 64] che alla Medea di Apollonio”).
Luciano Canfora, Antologia delle letteratura greca, Laterza

2 commenti:

Anonimo ha detto...

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