martedì 13 marzo 2007

L'epopea di Gilgamesh (Alberto M.)

L'Epopea di Gilgamesh è un antichissimo poema epico assiro babilonese risalente a circa 3000 anni fa. È scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla.
La composizione è opera in parte dei Sumeri, in parte, in epoca più tarda, dei Babilonesi e degli Assiri.
Il protagonista è Gilgamesh, il re sumero di Uruk, che in compagnia dell'eroe Enkidu affronta numerose avventure, alla ricerca del segreto dell'immortalità.
L’epopea di Gilgamesh ci offre molte preziose notizie sul mondo dell’antica Mesopotamia.
La storia è basata su sentimenti e ideali universali: l'amicizia, la gloria, la ricerca dell'immortalità, la paura della morte.

Questa in sintesi la storia (tratta da wikipedia):
Gilgamesh, per due terzi divino e per un terzo umano, è un sovrano tirannico che costringe i giovani guerrieri della sua città a continui e sfiancanti esercizi, finché non incontra Enkidu, creatura selvaggia plasmata dagli dei per rispondere alle preghiere dei cittadini di Uruk. Gilgamesh ed Enkidu lottano selvaggiamente, durante la festa di Ishkarra (nella quale alcuni studiosi ritengono di ravvisare una sorta di ius primae noctis). Non riuscendo a prevalere nonostante la sua forza leggendaria, Gilgamesh, colpito dal valore del suo avversario, stringe con lui un solenne patto d'amicizia.
I due amici si avventurano fuori dalla città verso la foresta dei cedri dove il terribile mostro Humbaba sta a guardia dei pregiati alberi. Il loro scopo è tagliare i tronchi più belli per portarli ad Uruk ma vengono scoperti dal mostro. Uniti combattono e sconfiggono la bestia e così i due eroi trionfanti fanno ritorno ad Uruk con il prezioso bottino, dove la dea Ishtar, impressionata dalla bellezza e dal valore di Gilgamesh, gli propone di diventare suo sposo, ma riceve un netto rifiuto (motivato dalla discontinuità dell'amore della dea, che era solita condannare in un modo o in un altro i suoi amanti). Ella, quindi, chiede a suo padre Anu di affidarle il Toro celeste, che scatena per le strade di Uruk. Enkidu affronta due volte il toro, dapprima da solo, e poi con l'aiuto di Gilgamesh, e durante il combattimento afferra il toro per la coda mentre Gilgamesh lo colpisce con la sua spada tra le corna. I due eroi trionfano, forti del loro valore. Enkidu tuttavia per volontà degli dei muore a seguito di una malattia e Gilgamesh per la prima volta è affranto dal dolore.
Sconvolto egli parte alla ricerca dell'unico uomo che conosce il segreto dell'immortalità: Utnapishtim, il lontano, antico re di Shuruppak e sopravvissuto al diluvio, ma quando dopo numerose peripezie riesce ad incontrarlo, nella terra di Dilmun - là dove sorge il sole - deve arrendersi all'evidenza: le circostanze che hanno dato al suo antenato l'immortalità sono eccezionali e non ripetibili. Riceve però indicazioni su come raccogliere in fondo al mare un'erba simile al biancospino il cui nome è vecchio-ritorna-giovane, che intende portare al suo popolo, ma dopo essere riuscito a coglierla, immergendosi con l'aiuto del battelliere Urshanabi, mentre si riposa accanto a un ruscello un serpente la porta via e dopo averla mangiata, cambia pelle. Gilgamesh fa quindi ritorno ad Uruk, e qui l'epopea babilonese classica si interrompe.
Nella dodicesima tavoletta, incompleta, del testo ninivita, viene però riportato un episodio che per le sue peculiarità linguistiche e formali e per la scarsa coerenza con il resto della narrazione appare come un mito a sé stante, con Gilgamesh ed Enkidu come protagonisti. Vi si narra della perdita da parte di Gilgamesh di due oggetti simbolici di grande valore, un pukku e un mekku, nella "Terra"(ovvero nell'oltretomba). Si tende ad identificare questi due oggetti rispettivamente con un tamburo e una bacchetta, strumenti musicali di carattere sacro nell'antica Mesopotamia. Enkidu si offre di discendere agli inferi per ricuperarli, ma nel farlo non segue i consigli elargitigli da Gilgamesh per poter ritornare alla luce, rimanendo prigioniero dell'oltretomba. Gilgamesh prega il dio Enki di poter ancora un'ultima volta parlare ad Enkidu, e viene esaudito: Enki intercede presso Nergal, signore dell'oltretomba, che permette all'anima di Enkidu di uscire temporaneamente dal Kur. Nell'ultima parte del testo, fortemente lacunosa, Enkidu racconta all'amico diletto la sua esperienza dell'al di là, dipinto nei termini cupi e privi di speranza tipici della letteratura sumerica e mesopotamica.
La dodicesima tavoletta di Ninive fa parte in realtà di un mito sumerico: "Gilgamesh e l'albero di Huluppu", noto in altre versioni. In esso Gilgamesh, dopo aver abbattuto un albero gigantesco, costruisce con il suo legno un seggio per sé e la dea Inanna (Ishtar), il pukku e il mekku (in questa versione del mito quindi Gilgamesh corrisponde all'amore della dea).

ALBERTO M.

3 commenti:

salvatore.l ha detto...

devo dire che la storia è molto affascinante ma allo stesso tempo troppo fantastica infatti a metà della storia mi si è intrecciato il crevello e non ho capito più niente..........

Pierp ha detto...

La storia è un po' intrecciata (come tutti i poemi) ma molto bella!

giammy f. ha detto...

ultimamente ho visto un documentario proprio su questo che riconduceva questa storia al giudizio universale anche se i giorni di pioggia invece che 40 erano solo 7....