giovedì 12 aprile 2007

Callino e Omero

Callino e Omero

Callino interpreta a modo suo motivi dell’Iliade. Egli ammonisce i giovani della sua patria a non abbandonarsi tranquillamente all’ozio come in tempo di pace. La guerra impegna tutto il paese – egli dice – partite dunque contro il nemico. Anche morente il guerriero deve per l’ultima volta vibrare la lancia, poiché è cosa onorevole e splendida combattere contro il nemico, per il proprio paese, per i propri figli e la fedele consorte. E la morte verrà quando le dee del fato la prepareranno filando … Non è concesso all’uomo evitare la morte, neppure se discenda da progenitori immortali. Spesso qualcuno si sottrae al combattimento e ritorna a casa, e a casa lo coglie la morte. E costui non avrà onore.
La principale ragione per cui si raccomanda qui di combattere per il proprio paese, dunque per un vantaggio pià ampio del vantaggio personale, è che, in tal modo, anche la propria famiglia viene difesa dai nemici. Questo naturalmente è un motivo omerico, ma in certi particolari Callino va più in là di Omero. Ettore dice ai Troiani nella battaglia (Il. XV 494 sgg.): “Ora combattete tutti contro le navi dei Greci. Chi è colpito e cade, dovrà morire. Non è una cosa indegna per lui morire difendendo la patria. Ma la sua donna e i suoi figli avranno sicurezza per il futuro, e così la casa e i beni, quando i Greci saranno ritornati in patria”. Ettore dice: “non è cosa indegna difendere la propria patria”, e Callino: “è una cosa gloriosa e splendida combattere per la propria patria”. Al posto della parola “difendere” abbiamo qui la parola “combattere”, e il valore della lotta viene soltanto qui degnamente riconosciuto …
Inoltre Callino raccomanda l’eroismo in nome della gloria e del timore della vergogna; in ciò Callino segue Omero. Egli ci porta però altre ragioni, similmente derivate da motivi dell’Iliade. “La morte viene quando il destino lo vuole. Spesso uno è sfuggito alla battaglia ed è poi morto a casa”. Ciò si riconnette a quanto dice Ettore in una situazione però del tutto diversa. Quando Ettore prende congedo da Andromaca prima di partire per la battaglia dice (Il. VI 486): “Non rattristarti troppo il cuore: nessuno mi farà scendere all’Ade contro la volontà del fato (al di là del fato). Poiché nessuno, vile o pauroso che fosse, è mai sfuggito, dappoichè nacque, al proprio destino”. È tutt’altra cosa se uno dice “bisogna pur morire una volta”, come dice Ettore pensando al combattimento in cui troverà la morte, o se ci si richiama a questa legge della vita per esortare un altro all’eroismo.

B. SNELL, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, trad. V. Degli Alberti, Torino, Einaudi, 1951

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